Cultura | Costumi tradizionali

Campello Monti

Storia e particolarità dei costumi di Campello

Le prime donne in costume le si incontrano già all'inizio della valle o nel mercato di Omegna. Sono spesso costumi semplici, di gente che li indossa per lavorare sia nei campi, sia nelle case. Sono neri, sobri, con pochi profili di colore.

Alla domenica, nei giorni di festa, per mille occasioni, le donne indossano con fierezza ed eleganza il costume. Un costume ricco di colori e prezioso nei materiali.

 

  

I costumi dipinti da Gaudenzio Ferrari

 

Se l'amico appena arrivato vuoI saperne di più, gli si spiega che questo è il costume che si usa a Campello, che si è usato per centinaia di anni, che Gaudenzio Ferrari dipingeva nel cinquecento illustrando le sue dolci Madonne, con i polsi e i colli guarniti di puncetto, lo stesso gusto di allora che continua, che arricchisce, che impreziosisce.

Vogliamo descriverlo? Nel costume ogni particolare ha una sua funzione e un suo significato.

 La camicia è detta camisa. In tela di lino o di cotone, ha ampie maniche, di sapore cinquecentesco, collo, polsi, raccordo della spalla e giromanica guarniti di puncetti. Il puncett, è una trina fatta ad ago da abilissime mani, ormai rare, di donne della Valsesia e del Cusio. Ha disegni geo­metrici o fantasiosi. Con il suo piccolo punto (punto saraceno, di origine bizantina) nobilita la camicia e tutto l'abito dandogli individualità. 

La sottana ampia e pesante, nera o blu scura, a pieghe, è di lana. E' la rassa, anch' essa di origi­ni valsesiane assai antiche. Incorpora un corsetto con larghe spalline. Nella schiena del corsetto vi sono cinque nervature verticali della larghezza di 15 millimetri, di nastro dorato o di nastro ricavato da tessuto di damasco di seta. Il corsetto, sul davanti, lascia spazio per l'intercambiabilità di una pezza, di damasco, di velluto o di tessuto di seta ricamato. La pezza detta pezzot (pitra nell' attigua Valsesia) deve evidenziare le diverse occasioni, lieti o tristi, in cui viene indossato il costume. 

Sul pezzott la personalità, gli eventi, la moda, giocano a far vivere il costume con note colorate, sgargianti, solenni o cupe. Nel costume di Campello il pezzott esprimeva nei tempi passati le doti di buon ricamo di chi lo aveva confezionato e il gusto di chi lo indossava. Intercambiabili sono anche i due nastri o bindell, paralleli, che scorrono fra un'asola e l'altra del corsetto, bloccando il pezzott con un fiocco.

La vita viene avvolta, due volte, con una fascia alta circa 6 centimetri che ricade sul fianco della rassa fin quasi all'orlo. Questa fascia, detta coruggia è tessuta a mano su vecchi telai ed è a righe parallele, solitamente coloratissime, di grande risalto e di indubbia bellezza. All' abito si accompagna lo scussal, il grambiule in seta o in raso di cotone. Sul bordo è decorato, a ricamo, con festoni di piccoli fiori e di disegni geometrici. In alto, al punto vita, l' arriccia tura è abbellita da punto smoke. Nel centro dello scussall i due teli che lo compongono sono giuntati da una fascia di ricamo verticale e a volte, da una fascia policroma di puncetto.

Completa il costume un giacchino, di foggia e disegno tipicamente napoleonico, chiamato camisulott. E' in panno nero o blu, bordata con nastro dorato, con manica stretta a polsi rovesciabili foderati di damasco, di tessuto pregiato o seta ricamata. Le spalle molto strette, il giro manica molto serrato fanno del camisulott un indumento adatto solo a riparare dal freddo, non certo per lavorare. Il capo è protetto da un fazzoletto di lana di colore scuro con fiori colorati.

I capelli delle donne in costume erano radunati, un tempo, in più treccine, legate con svariati nastrini, o bindell, di colore nero. Nel volgere del tempo, questa acconciatura lasciò il posto a una sola treccia arrotolata sul capo.

La tradizione dei gioielli si ricollega a quella delle valli vicine e include pietre di granata, collane e catene d'oro che sorreggono una crocetta; anelli d'argento con granate; borchie d'argento con granate, a mo' di spille ferma-pezzott e orecchini ad ampio anello d'oro con dorini (piccoli cubi d'oro) sfaccettati. La collana d'oro può essere sostituita da un cordino di seta nera attorcigliata dalla quale pende una colomba d'oro o dorata che simboleggia lo Spirito Santo.

Le scarpe sono di velluto o di feltro scuro e sono dette scapin. Hanno la suola in corda di ca­napa intrecciata, sottostante ad una serie di strati di panno, spesso di vari colori, per dare spessore all'insieme.

 Ecco, questo è Campello Monti. E se l'amico ti chiede se può tornare e quando, non gli devi dire "domani". Perchè dopo quell'andare su e giù per la gassa e ascoltare tante spiegazioni è bene che si riposi, ci ripensi, assapori quanto ha visto e sentito. Ma se i domani è giorno di festa, con le donne in costume, le case lustrate, i formaggi in vendita sulla piazza Vittorio, è meglio trattenerlo a Campello, perchè l'indomani sarà un giorno, per lui e per tutti, variopinto, interessante, bellissimo. Sarà il giorno che a Campello vi sarà un amico in più.

 

IL REGALE DRAPELL SIGILLO DI CULTURA

Il costume femminile è arricchito da un eccezionale accessorio di splendore pittorico: il drapéll.

E' un manto da posare sul capo du­rante le cerimonie religiose che sono ridotte or­mai a tre, mentre una volta veniva usato quasi tutte le domeniche per la messa e per i riti al ci­mitero.

Il drapéll si porta per la festa della Madonna della neve e nella seconda domenica d'agosto per la processione dopo la messa del Crocefisso. Per la prima  ricorrenze il drapéll è di tela bianca bordato finemente con orlo a giorno o con piccoli punti di ricamo, sempre in bianco. Per la festa d'agosto è di un rosso sfolgorante con sfu­mature di rosa fucsia o di rosa ciclamino. E' molto ampio: un metro per un metro e anche più, per essere avvolgente. Lo scintillio della seta rossa o il bianco candido della tela danno una cornice esaltante al costume conferendo un portamento regale alla donna che lo indossa.

L'aver saputo creare nel passato, in una civiltà pastorale, un abito così sfarzoso, che poi diven­ne sigillo di cultura, denota una profonda aspirazione alla ricerca di un'immagine di bellezza e decoro che gratificasse la vita umile e sofferta di ogni giorno in difficili ambienti di montagna. Il drapéll appare già nella cappella della Croce­fissione al Sacro Monte di Varallo, affrescata da Gaudenzio Ferrari: avvolge una figura femmini­le sulla destra di chi guarda la cappella, dietro un gruppo di pie donne.

(La foto ritrae un matrimonio in Campello in data 3 Agosto 1902). 

Valsesiane in costume con il capo velato da un drapéll bianco sono state ritratte anche a Cra­vagliana in Valsesia nella cappella di Santo Ste­fano dal pittore Lorenzo Peracino di Cellio, detto il giovane. Questo pittore è parente del Defen­dente Peracino anch'egli di Cellio, che nel 1816 decorò la cappella della Madonna del Rosario, nel­la Chiesa Grande di Campello, su commissione di Giambattista Tensi.

Quindi il drapéll campellese ha origini lontane che trovano testimonianze autorevoli già nei do­cumenti valsesiani. Alcune cartoline di 50-70 anni or sono, emesse da Fobello, raffigurano proces­sioni con donne coperte da drapéll, indossato al­la stessa nostra maniera, come risulta dalle foto di Adelgonda Tensi fatte sulla strada cosidetta "Pendente" di Campello all'inizio di questo secolo.

Sono ormai poche le campellesi che hanno ser­bato l'uso di questo raffinato manto, ma il rin­novato interesse per i Walser e il vivo successo che riscuotono i vecchi, preziosi costumi tolti dai cassetti e indossati nei mesi estivi danno adito alla speranza che possa tornare anche la moda di questo copricapo così ricco di antichi significati.

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