I WALSER VALSESIANI
LA SCELTA DI UNA NUOVA TERRA
Occorre dire che i Walser non si recavano in zone spopolate, infatti tutte le valli che hanno frequentato erano già abitate e parzialmente trasformate da popolazioni preesistenti di origine gallo - romana o celtica. Occupavano le zone più a monte, isolate ed impervie, che questi abitanti indigeni usavano marginalmente. Molte zone erano sotto il controllo di un signore locale o utilizzate da grandi monasteri per le loro transumanze estive. Spesso per motivi di sfruttamento più capillare del territorio o semplicemente per affrancarsi una porzione di regione di dubbia e contrastata proprietà, questi centri di potere, creavano condizioni vantaggiose, ad esempio esenzioni fiscali o concessioni in "affitto ereditario", per chi bonificava nuove terre. Nel 1300 Iocelino di Biandrate, che aveva possedimenti nell’alta valle di Macugnaga, permise ad alcuni coloni Walser di occupare i territori alti intorno al Monte Moro situati nel versante svizzero di Saas. Questa consuetudine pare abbia avuto un ruolo importante anche per la colonizzazione dei Walser in Valsesia, valle controllata anch’essa da un altro ramo dei Conti di Biandrate. Tra il 1083 ed il 1087 Giulio II di Biandrate ed i suoi eredi, per motivi di contrasto con il Vescovo di Novara e per prenotare le loro anime al Paradiso, donarono ai Benedettini di Cluny (Francia) vasti territori nel novarese, vercellese e in Valsesia. Sotto la loro egida, furono fondati due monasteri di grande importanza a Castelletto Cervo (biellese) ed a San Nazzaro (vercellese). Questi ultimi, ampiamente dotati di territorio (una ventina di mansi in Valsesia; 3 alpeggi ai piedi del Rosa: Otro, Mud e Pianmisura con relative mandrie e quattro importanti foreste sulle medesime montagne) iniziarono la secolare pratica della transumanza nelle stagioni estive. Iniziò così un graduale popolamento, anche se temporaneo, del territorio. Tra il XIII e XIV secolo questi monaci iniziarono a favorire a loro volta gli insediamenti vallesani in Valsesia. Un altro monastero molto attivo in Valsesia era il Grande Monastero di San Gratiniano di Arona. Altri possedimenti appartenevano al Capitolo dei Canonici di San Giulio sul Lago d'Orta.
A SUD DEL MONTE ROSA: LE COLONIE WALSER VALSESIANE
Si pensa, in mancanza di documenti ufficiali, che il passaggio dei coloni vallesani verso il lato italiano del Monte Rosa sia avvenuto attraverso il Colle del Teodulo e il passo del Monte Moro in direzione rispettivamente della Valle d'Aosta (Zermatt - Valtournenche) e della Valle Anzasca (Saas Fee - Macugnaga). La successiva ondata migratoria che interessò la Valsesia, tra il XIII e XIV secolo, avvenne presumibilmente attraverso i passi del Turlo, della Dorchetta, del Colle del Loo e del Col d'Olen. All’inizio del XIII secolo gli insediamenti originali in alta Valsesia non superavano il limite degli 800 – 900 metri. Come detto in precedenza, infatti, al di sopra di questa quota vi erano alpeggi posseduti da grandi monasteri che li usavano per la transumanza estiva delle loro greggi e mandrie. A promuovere la colonizzazione Walser a sud del Monte Rosa furono inizialmente proprio i monaci, con il beneplacito dei signori di Biandrate, che affidarono a questo popolo di boscaioli e colonizzatori d’alta quota, ancorché contadini – allevatori, la trasformazione dei loro alpeggi estivi in insediamenti agro – pastorali permanenti. Un documento ritrovato nell'archivio capitolare della Basilica dell'Isola di San Giulio, ci permette di datare la fondazione della più antica colonia Walser della Valsesia: Rimella (1255 – 1256), costituita da coloni provenienti dalle valli di Visp, Saas Fee e del Sempione. Seguirà quella di Alagna, dove i primi coloni, provenienti da Macugnaga, attraverso il passo del Turlo, si insediarono sulle terre monastiche a Pedemonte e Pedelegno (verso la fine del XIII sec.) e a Riva Valdobbia, dove la presenza di nuclei Walser in Val Vogna, provenienti da Gressoney, è attestabile dal 1325. L’insediamento dei Walser nella valle di Rima e di Carcoforo risale alla seconda metà del XIV secolo, ad opera di famiglie provenienti da Alagna. Mentre la parte media della Val d’Egua, oggi in comune di Rimasco, venne colonizzata da nuclei provenienti da Rimella.
I WALSER DI RIMELLA
Rimella è la più antica e documentata colonia Walser della Valsesia. I luoghi: "…Alpe que nominatur Rimella …et Alpis que nominatur Rotundum…" erano già noti fin dall'XI secolo come terre di proprietà del Capitolo di san Giulio d'Orta. I Canonici, nel 1255, diedero questi alpeggi in affitto ereditario e perpetuo a due capifamiglia provenienti dal vallese e, nel 1256, ad altri 11 coloni provenienti da Saas, Visp e dal Sempione. A questi terreni venne aggiunta un'altra parte dell'Alpe Rotondo, di proprietà del Monastero di San Graciniano di Arona. La concessione venne divisa in 12 quote famigliari con la comunione dei pascoli, delle foreste e delle acque e con la concessione del perpetuo diritto di abitare, fabbricare case e mulini, tagliare i boschi e trarre con qualunque mezzo i prodotti della terra. Il primo pannello esplicativo (n. 1) è posizionato in località S. Antonio di Rimella (m. 1.151) dove ha inizio il sentiero diretto alla colma della Dorchetta (Backfurku), oggi frequentato solo da escursionisti ma che per secoli ha rappresentato una delle principali vie di comunicazione tra la Valsesia e la Val Anzasca. È dunque molto probabile che i primi Walser giunti nel vallone di Rimella, nella metà del '200, passarono da qui. Il secondo pannello (n. 2), posizionato nella piazza di Rimella vicino alla Chiesa (m 1.176), invita ad ammirare gli splendidi edifici in legno e pietra costruiti secondo il modello originario che sviluppa un elevato grado di funzionalità e osmosi con il paesaggio. In località Sella è in allestimento un museo dedicato alla cultura dei Walser ospitato nell'edificio settecentesco della Casa eredi Vasina. Da non perdere la visita al Museo Filippa, singolare esempio di collezione di stampo illuminista donata al paese, a fino ‘800, da un rimellese emigrato. Il terzo pannello (n. 3), posizionato nella frazione di S. Gottardo (m 1.329), ha per tema i prati, i pascoli e gli alpeggi. Confortati dalla visione del grandioso paesaggio naturale che circonda questo sito, modellato ad arte dal secolare lavoro dei coloni Walser, apprendiamo che la vita di questo pastore – contadino, è regolata dai tempi della montagna e da spostamenti stagionali. Le donne ed i bambini partecipano alla vita agro-pastorale: molto di frequente, infatti, è resa testimonianza dell’emigrazione degli uomini rimellesi che, d'estate, si spostavano all'estero per lavorare come muratori, falegnami e peltrai. La crescita dell’erba, però, segna anche lo spostamento del pastore all’alpeggio, che, con il bestiame, si trasferisce in semplici abitazioni di pietra (spesso su un giaciglio di paglia) dove si dedica alla produzione di latte, burro e formaggi ed alla manutenzione di guadi e sentieri. All'inizio dell'estate si raggiunge l'alpeggio più basso e man mano ci si sposta verso quelli situati ad altitudini superiori, per rientrare al villaggio alla fine dell'estate. Erano soprattutto le donne ed i bambini a condurre il bestiame agli alpeggi, dato che gli uomini erano impegnati nelle corvèe e nelle costruzioni di abitazioni e mulattiere. Altri capo famiglia erano assenti perché emigravano d'estate all'estero per lavorare come muratori, falegnami e peltrai. Percorrendo i sentieri di Rimella è possibile assistere alla lavorazione del latte ed acquistarne i prodotti derivati. Il pannello n. 4, posto in frazione Prati (m 1.218), illustra il villaggio Walser. L'insediamento Walser, costituito da frazioni sparse al riparo da valanghe e alluvioni, ha il suo fulcro centrale nell’Oratorio, nel forno comune, nella fontana pubblica e, talvolta, nella presenza di un mulino. Le case sono costruite con il legno di larice come tutte le baite Walser ma, a differenza di quelle di altri insediamenti valsesiani, le logge, pur mantenendo la funzione di fienile, sono chiuse. Col passare del tempo e con il cambiare delle tecniche importate dagli emigranti rimellesi, la tipologia di gran parte delle abitazioni si è modificata: l’abitazione tradizionale è sempre più simile ad una grande casa a più piani. Proverbiale, ed apprezzata ancora oggi, è l'abilità dei rimellesi nel costruire i tetti con la copertura in "Beola", pesanti lastre di pietra disposte a squame di pesce.
I WALSER DI ALAGNA E RIVA VALDOBBIA (PIETRE GEMELLE)
Il toponimo "Alagna", per indicare un insieme di insediamenti abitativi stabili ai piedi del Monte Rosa, compare in epoca piuttosto tarda, verso il 1500 ca. Agli inizi della sua storia non esisteva un singolo nucleo abitato, ma un insieme di frazioni, dipendenti dalla Comunità di Pietre Gemelle. Prima dell'arrivo dei coloni walser, agli inizi del XII secolo è questo l'ultimo villaggio della Valgrande del Sesia che risulta essere stabilmente abitato. La più antica attestazione della sua esistenza si rileva da un documento dell'Archivio Civico di Vercelli (Codice Biscioni), contenente il giuramento di cittadinanza vercellese prestato dagli uomini della Valsesia nell'anno 1217: in esso compare "Guidetus filius Johannis de Petris Zumellis", quale unico rappresentante di Pietre Gemelle, tra i 612 Valsesiani menzionati nell'atto.
Ai tempi della comunità di Pietre Gemelle, l'attuale territorio di Alagna era occupato da quattro grandi alpeggi, corrispondenti alle quattro valli principali poste alla testata della Valgrande, e precisamente: l'alpe di Otro, l'alpe Alagna, l'alpe Bors e l'alpe Mud.
Nello sviluppo delle vicende storiche legate agli alpeggi di Alagna, determinante fu l'influenza dei monasteri che, in epoca medievale, contribuirono notevolmente alla colonizzazione delle regioni alpine e all'opera di bonifica dei pascoli di montagna.
Nel processo di trasformazione dell'economia medioevale verso un rinato interesse per le coltivazioni agricole e la pastorizia si possono inserire le grandi migrazioni delle popolazioni tedesche, composte da individui abituati alle più dure difficoltà climatiche ed ambientali, esperti nella bonifica delle paludi e nello sfruttamento dei territori d'alta quota.
Lentamente, tra la fine del '200 e gli inizi del '300, gli antichi pascoli appartenenti ai monasteri, in particolare le stazioni di fondovalle (Pe' d'alpe), si trasformarono in stabili villaggi walser. La testimonianza più antica ad essi relativa è del 1302: un colono di Pedemonte "Anrigeto alemanno di Apud Mot" costituisce, secondo il diritto vallesano, la dote della propria figlia, con l'obbligo per il genero Pietro Gualcio di partecipare alla conduzione dell'azienda agricolo-pastorale della famiglia. In una testimonianza di poco successiva, del 1319, Giacomo, figlio di Anrigeto Ursus, cede i diritti di affitto ereditario su di un appezzamento a Pedemonte, sotto il Dosso dei Larici, ai fratelli Zanino e Nicolino della Borca di Macugnaga. Ciò porterebbe a concludere, con una certa sicurezza, che i primi coloni stanziati a Pedemonte fossero qui giunti da Macugnaga, intorno al 1300.
Fino al 1325 la Comunità di Pietre Gemelle dipendeva dalla parrocchia di Scopa; nel distacco da quest'ultima fu determinante l'arrivo dei Walser, con il conseguente aumento della popolazione e la crescente difficoltà per raggiungere una località così lontana. Si creò così una parrocchia autonoma intitolata a San Michele, finché, nel 1475, si procedette anche alla separazione da Riva in parte per i disagi che la popolazione aveva per raggiungere la parrocchia in inverno, ma soprattutto perché si rendeva necessario per la comunità di Alagna avere un parroco che parlasse in lingua tedesca.
All'atto della sua costituzione, la chiesa di S. Giovanni raccoglieva le varie borgate sparse intorno a Pedemonte e Pe' d'Alagna, aggregate a Pietre Gemelle e non riconducibili ancora ad un singolo nucleo. Sarà solo agli inizi del '500 (quando anche Otro e Pé d'Otro entreranno a farne parte) che si inizierà a parlare della parrocchia "di San Giovanni Battista di Pè d'Alagna" e gradatamente il toponimo Alagna ("ds Land", nella lingua locale) comincierà a farsi strada per designare la località da cui è nato l'odierno Comune.
Per osservare un altro aspetto dell'epopea Walser bisogna spostarsi in Val Vogna, valle che partendo da Riva Valdobbia segue il torrente Vogna sino alla sua sorgente. Riva era il capoluogo dell'antica comunità di "Pietre Gemelle" che comprendeva anche Alagna. La Val Vogna era la via più comoda, e anticamente la più frequentata via per comunicare dalla Valsesia alla valle di Gressoney. Presumibilmente i primi Walser giunti in questa valle provenivano, quindi, proprio da Gressoney - Saint Jean. Un documento del 1325 dimostra che già in quel tempo erano insediati in località Peccia ("Pezia") alcune famiglie di coloni Walser provenienti da Verdoby (Gressoney) che trattavano con altri Walser provenienti da Macugnaga la divisione del territorio. Insieme fondarono molti piccoli villaggi, tipici dello stile Walser, insediandosi in particolare su alpi frequentati da transumanti della Mensa Vescovile di Novara. Questi nuclei diventeranno le frazioni di Cà di Ianzo, Cà Piacentino, Cà Morca, Cà Verno, Rabernardo, Cambiaveto, Le Piane, La Peccia, La Montata e Larecchio. A Rabernardo, in una tipica abitazione Walser, raggiungibile con un’agevole mulattiera, è ospitato un Museo etnografico di grande interesse. Penetrando all’interno della baita, grazie al reperimento di oggetti e macchinari originali quali telai, mobili, utensili casalinghi, attrezzi agricoli e per la lavorazione del legno, nonché costumi e abbigliamento d’epoca, sembra di tornare indietro nel tempo, toccando con mano le fatiche e le usanze della popolazione Walser. La località Larecchio, invece, pur essendo alla quota di circa 1.900 metri, all'inizio del XIV secolo venne disboscata, dissodata ed abitata, trasformandosi in un meraviglioso piano dal pascolo lussureggiante. Questo conferma l'optimum climatico di quegli anni che favorì gli insediamenti dei Walser in quelle alte quote.
La fitta rete di strade, composta da sentieri e mulattiere minori che permettevano l’accesso al fondovalle e alle grandi vie di scambi commerciali con le valli piemontesi, aostane e svizzere, svolsero un ruolo importante nella storia locale, fortemente segnata dall'emigrazione. A questo proposito la Val Vogna, che poi divenne un importante passaggio della “Via Regia” sabauda, era collegata, tramite la valle d'Aosta al Ducato di Milano (cui la Valsesia apparteneva dal XV secolo). Dal Colle Valdobbia, purtroppo, transitò in Valsesia anche la terribile pestilenza del 1640. L'ingegno e la tenacia dei colonizzatori sono riconoscibili nell'opera di canalizzazione delle acque, anch'essa interamente costruita in pietra ed adatta a sfruttare razionalmente le risorse idriche della montagna. Per creare un ambiente areato e asciutto dove conservare il raccolto, l’ambiente in legno era separato dalla piccola base in pietra.
La tipologia costruttiva del granaio Walser è molto simile allo "Stadel" della valle di Gressoney, con l’ingresso a monte e il deposito orientato a valle.
LA CASA WALSER
Le case walser hanno sfidato il logorio del tempo ed ancora oggi si ergono, sia in paese sia nelle frazioni, a testimoniare quella capacità che, tramandata di generazione in generazione, ha reso l’uso del legno un’arte d’ingegneria non riscontrabile in altre popolazioni limitrofe.
Proprio queste costruzioni di legno, così perfette da reggere il peso d’abbondanti nevicate ed al tempo stesso essere confortevoli per uomini ed animali, meritano una dettagliata descrizione.
La casa doveva rispondere a tre requisiti principali: una comoda abitazione per la vita famigliare, uno spazio sufficiente per conservare il foraggio ed un adeguato ricovero per gli animali.
Le costruzioni erano posizionate in modo ordinato ed esposte a Sud.
Di frequente erano raggruppate per sfruttare al massimo il terreno; ogni palmo di terra lasciato significava meno foraggio per gli animali nella stagione invernale.
La realizzazione di una casa era frutto della solidarietà non solo famigliare, ma di tutta la comunità, che partecipava prestando il proprio aiuto anche nella costruzione delle baite sugli alpeggi.
La maggior parte del materiale era preparata durante la stagione estiva con il disboscamento: un’operazione meticolosa e di specifica conoscenza per la scelta degli alberi da abbattere.
Un importante problema era rappresentato dal trasferimento delle travi principali sugli alpeggi.
Una buona parte giungeva dai lariceti posti a valle ed il solo mezzo di trasporto era la forza delle braccia.
Per edificare una baita (“chasarra” ) si organizzavano delle “corvées” per lo spostamento delle travi.
La casa walser racchiudeva sotto lo stesso tetto l’abitazione, la stalla ed il fienile; in piccoli locali esterni, sotto la lobbia o adiacenti, erano situati il pollaio “henniuhus”, il porcile “schwistia” e, spazio permettendo, alcuni ripostigli.
Al di fuori della casa si trovavano anche il letamaio “mistgruaba”, nelle vicinanze della stalla, ed il gabinetto “haimlich”, posto sotto la scala o la lobbia o in un ritiro nel cortile.
Solitamente la casa walser era a pianta quadrata, circondata dalla lobbia, ed era disposta su tre/quattro piani.
Il lavoro di costruzione iniziava in primavera con lo scavo per il basamento e l’erezione dei muri perimetrali a secco.
Le facciate erano di notevole spessore, talvolta fino a cm. 60, per la conservazione del caldo e conferire alla struttura una solida base a supporto della parte lignea.
Del piano inferiore facevano parte la stalla “godu”, con annesso soggiorno “stand”.
Tra la stalla ed il soggiorno non esisteva parete divisoria, ma una semplice tramezza di legno alta circa un metro: persone ed animali convivevano scaldandosi a vicenda.
La cucina “firhus”, accanto al soggiorno, era disposta al di fuori del muro perimetrale e si estendeva sotto la lobbia.
Questo locale conteneva un caminetto “herblatta”, per cuocere alimenti e per la lavorazione del latte.
Disponeva, inoltre, di uno sportello, nel muro verso l’interno, per l’alimentazione di una stufa in pietra ollare (steatite) installata nel soggiorno per il riscaldamento di uomini ed animali.
Tutte le case non avevano camino: il fumo della cucina usciva direttamente dalle finestrelle o dalla porta divisa in due parti.
La parte inferiore era chiusa per impedire l’entrata del freddo, e quella superiore aperta per favorire la fuoruscita del fumo.
Da un ripostiglio, rivolto a Nord, era ricavata la cantina “chalder” per la stagionatura dei formaggi, che necessitavano d’umidità e temperatura costante. Nello stesso scantinato si conservavano anche le patate e il vino.
In quasi tutte le case era presente un telaio “tuu”.
Con il filo di canapa si tesseva la tela per la confezione di lenzuola, federe, asciugamani, camicie, fasce per bambini e pezze multiuso.
Con il filo di lana s’intessevano abiti di lana pura o di mezzalana.
Mediante una scala esterna in pietra o di legno si accedeva al piano superiore che ospitava le camere da letto (stuba).
Da questo livello iniziava tutta la parte in legno che si estendeva fino al tetto.
Le camere da letto erano disposte sopra la stalla, per sfruttarne il calore, occupando ciascuna un quarto dell’area complessiva del piano: tutte con accesso esterno alla lobbia.
Le stanze che non erano occupate, si adattavano alle necessità della famiglia: laboratorio per la riparazione degli attrezzi agricoli o altri usi diversi.
L’ultimo quarto di piano era destinato alla camera delle foglie (laubstuba), che era adibita alla raccolta e conservazione delle foglie di faggio, per la confezione dei pagliericci.
Le pareti interne erette con tavole di legno, erano incastrate sul pavimento e sul soffitto, mediante piccole travi con scanalatura centrale.
Le pareti esterne (wand) erano formate da mezzi tronchi di larice sovrapposti ed uniti ad incastro negli angoli. (blockbau)
I tronchi esternamente erano squadrati con una larga scure (trembiel), segati a metà e piallati sulla parte interna per formare una parete liscia, si sigillavano con muschio essiccato ad integrazione dell’isolamento termico.
Il pavimento era costituito da tavole di legno (dil), dello spessore di circa cm. 3 – 4, appoggiate su una trave orizzontale (binda) e fissate a questa con chiodi di legno (toubla).
Il piano superiore, più rustico, si componeva di alcuni locali che fungevano da magazzino; ne facevano parte il granaio ed il fienile.
Le pareti esterne erano realizzate con tronchi d’abete o di larice di medie dimensioni, sovrapposti ed incastrati alle estremità fra di loro.
Causa l’irregolarità dei tronchi, che spesso non combaciavano, si formavano nelle pareti delle fessure (flecke) che permettevano l’aerazione dei prodotti da conservare.
Il granaio (spicher) era un deposito di pani, farine, riso ed altri cereali.
Sul suo soffitto erano infissi i ganci per appendere salsicce, carni affumicate e salate.
Il fienile (stodal) era un ampio locale diviso in tre parti, per contenere separatamente le erbe di primo taglio, secondo taglio e quelle recuperate fra i dirupi, più povere di contenuti attivi.
Su tutti i lati della casa si estendeva la lobbia (schopf), autentico capolavoro di geometria.
Era un grigliato in legno, formato da pertiche (latte) orizzontali che s’inserivano su travi verticali di legno(stud), e costituiva, con il tetto, la caratteristica dell’architettura walser.
La lobbia consentiva l’accesso a tutti i locali e permetteva, tramite le sue pertiche, l’essiccazione del fieno (hai), della canapa (hampf), della segale (rokku) e dell’orzo (gersta).
In alcune abitazioni, nel timpano del tetto, era presente anche il “lobbietto” (schopfji) che serviva come deposito legna.
Il tetto (toch) era generalmente a capanna con due falde, composto da uno scheletro di legno con copertura in lastre di pietra, denominate “piode” o “beole” (blatte).
Il peso che il tetto doveva sopportare era di media sui q. 3 al metro quadrato e, con grandi nevicate, raggiungeva la tonnellata.
Nell’architettura walser, il peso del tetto costituiva l’elemento principale per bloccare tutti gli incastri e tenerli solidamente uniti.
Questa, in sintesi, la descrizione della casa walser in tutto il suo insieme.
Ancora oggi, dopo centinaia d’anni, queste costruzioni si possono ammirare in tutta la loro integrità e bellezza, rendendo Alagna un museo a cielo aperto della civiltà Walser.
Per approfondire:
www.comune.alagnavalsesia.vc.it
www.alagna.it
www.unionealagnese.com
www.vallevogna.eu
DA RIVA A RIMA E CARCOFORO
L’insediamento Walser nella valle di Rima (Val Sermenza o Valle Piccola) è sorto grazie allo spostamento di alcune famiglie di coloni provenienti dalla grande comunità di Pietre Gemelle - che comprendeva i territori di Riva Valdobbia e Alagna - intorno al XIV secolo (vedi pannello n. 5). Come indica il pannello n. 7, posto nell’abitato di Rima, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un paese che rappresenta una importante via di comunicazione tra le colonie Walser: una rete di mulattiere e sentieri collegava Rima ad Alagna, attraverso il Colle del Mud e in Valle Anzasca, attraverso il Piccolo Altare. Nell’abitato più alto della Valsesia (1417 m.), vive ancora oggi l’antica arte decorativa del cosiddetto marmo artificiale (pannello n. 6), attraverso la quale è possibile riprodurre artificialmente, con l’uso della scagliola, il marmo naturale. La storia di Rima è fortemente legata all’attività del marmo artificiale. Nella prima metà dell’Ottocento l’emigrazione coinvolse l’intera area valsesiana; diversamente dagli altri paesi, per cui esportare manovalanza significava sopravvivere, Rima seppe trasformare un’esigenza materiale in una ricchezza per la comunità. Ciò fu possibile grazie agli artisti del marmo artificiale (Della Vedova, De Toma, Axerio, Viotti) che, valicando i confini locali, applicarono la loro arte in Francia, Germania, Austria, Ungheria, Romania, Russia e Nord Africa. Il marmo artificiale, un’alchimia segreta di polvere di gesso e scagliola, abbatteva i costi di estrazione del marmo naturale e aveva il suo stesso impatto tattile e visivo, grazie alle numerose fasi di levigatura cui è sottoposto, alle sapienti miscele di colori e alla sua luce calda. I capolavori che testimoniano l’utilizzo di questa tecnica sono visibili, oltre che a Rima (chalet Ragozzi, albergo Alpino, chiesa di San Giovanni Battista, oratorio di Sant’Anna), a Grignasco, Novara, Asti, Nizza Monferrato, Torino (chiesa di San Giovanni Evangelista) e Milano (Pinacoteca di Brera). Dal 1998 l’amministrazione di comunale ha avviato un progetto di rilancio di questa attività inaugurando la “Casa del Marmo Artificiale”, sede di una mostra permanente, di un Laboratorio-Bottega e di una foresteria destinata ad ospitare gli allievi dei corsi attivati negli ultimi anni dal maestro Silvio Della Vedova. Il restauro delle opere preesistenti, come ad esempio, quello effettuato a Villa Virginia, la sede della Comunità Montana Valsesia a Varallo, la realizzazione di nuovi lavori, la costituzione di una cooperativa e l’istituzione di un marchio protetto di qualità sono le sfide che questa preziosa arte si appresta a vincere nei prossimi anni. Da non perdere, sopra l’abitato di Rima, il Museo Gipsoteca “Pietro Della Vedova”, che conserva splendide statue in gesso opera del rinomato scultore rimese dell’Ottocento. Al pari di Rima, anche l’abitato di Carcoforo è una colonia Walser derivata dall’antico insediamento di Pietre Gemelle. Il caratteristico borgo in Val d’Egua ospita il Museo Naturalistico del Parco Naturale Alta Valsesia, un laboratorio didattico interattivo attraverso il quale conoscere l’ambiente geografico, ambientale e culturale del Parco, con un’ampia parte dedicata alla flora ed alla fauna alpina.